Per il festival MilanOltre, la compagnia canadese Flak, diretta dal ballerino e coreografo José Navas, porta sul palco dell’Elfo due pezzi. “Villanelle” (che debutta proprio in questa occasione) è un solo di pochi minuti su musica di Antonio Vivaldi. José Navas è leggero, sinuoso, fluttuante. Sospeso, si potrebbe dire. Il corpo schiarito. Le braccia dipinte di bianco, come ali, come zampe, come aria e come nuvole. Le mani acquistano una forza espressiva rara e potente, dirigono l’attenzione, trascinano, vorticano. Una danza aperta, che si dona al pubblico, che si apre e si espande, pur nella contenutezza del movimento, che non esagera mai, che non si slancia mai, che resta discreta e racchiusa. “S” è invece una coreografia per otto danzatori, figure eteree, leggere, quasi trasparenti. Vestiti di una sorta di tunica bianca che lascia intravedere le forme del corpo, i ballerini iniziano a muoversi nel silenzio, componendo una partitura sonora e coreografica fatta di respiri, battiti, sussurri, strisciamenti, passi. “Danzare il silenzio” è il sottotitolo alla presentazione del lavoro. Suoni debolmente percepibili ne diventano la linea rossa e i movimenti si susseguono senza soluzione di continuità, intrecciandosi ad alcuni brani di Erik Satie, che non fanno che aumentare l’impressione di silenzio. Andando avanti, i corpi restano sempre più nudi, si rivelano, si arrotolano, scoprono la loro dimensione più chiara, più semplice, che non assume connotazioni sensuali ma piuttosto dolci e tenere, oppure forti e nervose. “S” gioca sulle variazioni di ritmo, intensità e forma, e l’unica pecca è forse il fatto che l’eccesso di tecnica richiesto dalla sua difficoltà si mette contro l’energia e l’espressività, che risultano sacrificate. Mentre “Villanelle” si dona al pubblico, “S” rimane sul palco, nella sua estrema precisione, nei suoi stop che congelano i corpi in pose plastiche, nei suoi rallenty che mostrano i muscoli in tensione e fanno perdere consapevolezza del tempo. Uno spettacolo costruito tanti su slittamenti e passaggi corporei e musicali, così come sulle nouances della luce (il cui progetto è di Marc Parent), che a volte – ambrata – scalda le figure e i corpi a volte – improvvisamente bianca – li raffredda, li gela, li ghiaccia e li distanzia. Passaggio continuo, incessante, implacabile. L’impossibilità di restare fermi anche quando lo si è fisicamente. Uno spettacolo teso, ma di una tensione che implode invece che esplodere forse proprio, come si è detto, per l’estrema difficoltà dei movimenti e l’intensa concentrazione che essi richiedono. Due coreografie che navigano. Che trascinando e trasportano. Due danze molto differenti ma coerenti tra loro. Un lavoro ben costruito e studiato, che trasmette rigore e morbidezza, geometria e respiro.

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