Travolgente, divertente e commuovente. “La Molli” è milanese, insonne e in perenne tensione tra una comicità venata di malizia e la disperazione di chi attende, sommersa dai ricordi, senza sapere cosa succederà. Il punto di partenza che ha ispirato questo lavoro a Gabriele Vacis (che ne ha curato la regia) e Arianna Scommegna (la Molli in scena) è il capitolo conclusivo dell’Ulisse di Joyce, capitolo in cui Marion (Molly) Bloom, aspettando il ritorno del marito, si abbandona ad un flusso di pensieri che si snoda vorticosamente lungo la sua storia, le sue bugie, i suoi tradimenti. La Molli meneghina aspetta il ritorno di suo marito, ora sdraiata su un letto scricchiolante, ora in bagno, ora alla finestra. Restando immobile su una sedia, con solo un bicchiere d’acqua accanto. Arianna Scommegna rende suo questo personaggio, lo vive, facendo diventare la Molli un’amica in piena confessione, sfrontata, diretta, senza peli sulla lingua. Ci racconta dei suoi primi approcci al sesso, delle sue rivincite (sessuali) sul marito, delle tecniche migliori per mascherare il meteorismo. Si ricorda ad alta voce – e tra le righe, perché il punto non è quello – di come è stato duro stare sola, da piccola. Facendoci oscillare senza sosta tra riso e lacrime, ci fa un resoconto sboccato e allo stesso tempo drammatico dei suoi tradimenti, delle sue scappatelle, dei suoi rapporti intimi. E della sua, non dichiarata ma evidente, solitudine, passata a contare i rintocchi delle campane per sapere che ora è. Una femminilità esuberante e sottilmente malinconica: una Penelope moderna senza eroismo ma traboccante di desiderio. Una donna che vive il suo corpo e il sesso con gioiosa e ironica ostinazione. Una bambina che ha bisogno di conferme per potersi sentire viva, viva davvero. E così, seduta su una sedia, con un fazzoletto che si tortura in mano, la Molli ci guarda dritti in faccia e ci fa sentire ora confidenti ora giudici. E la Scommegna è così reale e così intensa che verrebbe voglia di alzarsi e abbracciarla o di offrirle un bicchiere di vino per continuare a farsi raccontare le sue (di Molli) storie. Un monologo costruito sull’attrice, bravissima, e sul personaggio, che non ha bisogno di nulla, se non del buio alla fine, buio che conclude la sua dichiarazione più forte, più tesa, più vera, più urlata: la sua voglia di vivere, di dire sì. Uno spettacolo da vedere, da sentire, da godere lasciandosi trasportare da questo flusso di pensieri e confidenze così vicino al nostro mondo. Talmente vicino da ricordare ad ognuno di noi i passaggi della propria vita vissuta e le speranze a cui non si rinuncerà mai.